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Meditazione: la via della Consapevolezza

 

di Vincenzo Tallarico

Coscienza: essere presenti a “ciò che è” (chi siamo, come stiamo, cosa facciamo, dove siamo, ecc.). Essere consapevoli di che cosa “ciò che è” comporta per noi, per gli altri e per ciò che ci circonda. Divenire sempre più coscienti delle cause e condizioni che producono “ciò che è” e degli effetti che ne scaturiscono.

Il processo comincia col diventare più consapevoli di noi stessi, di quello che facciamo e di ciò che ci circonda. Cominciamo col divenire coscienti del nostro corpo, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri.

Spesso agiamo meccanicamente, senza neanche accorgerci di quello che facciamo (Dove ho messo l’ombrello? – Ho chiuso la porta? – Mi ero perso nei miei pensieri…). Esistono diversi livelli di attenzione. In alcune situazioni particolarmente intense (guidare la macchina molto velocemente, incontrare una persona che ci interessa, ecc.) la qualità della nostra presenza cambia come se venisse alzato il volume.

In meditazione il “volume” della coscienza viene alzato mantenendo però una qualità di rilassamento, di non identificazione, che permette uno spazio mentale libero dall’attaccamento e dal rifiuto.

Nei secoli coloro che si sono dedicati a conoscere e a sviluppare la coscienza ci hanno trasmesso una metodologia di trasformazione della mente per scoprirne la natura chiara e rilassata. Per i meditatori buddhisti la calma mentale (shinè in tibetano) viene così definita: una focalizzazione univoca della mente rispetto a un oggetto osservato. Tramite la stabilizzazione la mente rimane ferma su un’idea e la sua funzione è quella di essere alla base della tranquillità mentale. Questa è il fondamento delle tecniche meditative. Una mente che può permanere sull’ oggetto scelto, oltre ad essere più efficiente, è anche pronta a non farsi catturare dai pensieri automatici e passivi.

Gli oggetti che sono più frequentemente utilizzati dalla tradizione come base per la consapevolezza sono:

La posizione del corpo

Il respiro

Le sensazioni

I fattori mentali

Andrò ora ad esporre più dettagliatamente le tecniche di meditazione che amplificano la consapevolezza tramite l’attenzione su questi oggetti.

 

LA POSTURA

L’esperienza dei meditatori in Oriente ci tramanda una particolare posizione del corpo che permette alla mente di essere più consapevole.

Siedi comodo con la schiena dritta, aiutata a mantenersi tale da un cuscino sotto i glutei, che permette al bacino di bascularsi leggermente in avanti, e con le gambe incrociate. Puoi tenere gli occhi chiusi (ciò elimina gli stimoli esterni per cui facilita la concentrazione, ma purtroppo facilita anche la sonnolenza) o socchiusi, con lo sguardo rivolto verso la punta del naso (riuscire ad entrare in meditazione con gli occhi aperti rende più facile mantenere una attitudine meditativa durante le attività quotidiane). Mantieni la lingua appoggiata al palato, le braccia leggermente discoste dal busto, con il dorso della mano destra sul palmo della sinistra, con i pollici che si sfiorano e il mento leggermente rientrato.

 

CONCENTRAZIONE SUL RESPIRO

Nell’osservazione del respiro puoi scegliere di portare l’attenzione al punto in cui l’aria entra ed esce dalle narici o al movimento del ventre in corrispondenza del respiro. Quando hai scelto l’oggetto non cambiarlo.

Quando il pensiero discorsivo afferra l’attenzione è facile iniziare un dialogo interno; quando ti accorgi di ciò torna con l’attenzione al respiro.

Questa meditazione è molto indicata per noi occidentali sempre intenti a colloquiare con noi stessi.

 

CONSAPEVOLEZZA DELLE SENSAZIONI

Mantieni la consapevolezza vigile sulle sensazioni corporee lasciandole sorgere ed osservandone l’evoluzione. Non rifiutarle né trattenerle, ma lascia che si trasformino naturalmente ed osservane il cambiamento.

 

NOMINAZIONE DEI FATTORI MENTALI PERTURBATORI 

Una volta realizzata una mente rilassata, possiamo dirigere la consapevolezza verso i contenuti mentali. La tradizione buddhista sottolinea l’importanza di sciogliere gli ostacoli che la mente produce, definiti “fattori mentali perturbatori” in quanto offuscano la naturale chiarezza della mente. I testi tradizionalI definiscono le emozioni perturbanti nel seguente modo: “un’emozione perturbatrice è un atteggiamento centrato sull’io che rende la mente irrequieta quando accade qualcosa.”

La mente è la base sulla quale si producono tutte le cose. Ogni pensiero, parola e azione appare prima di tutto nella mente; è quindi indispensabile conoscere la propria mente e ciò che la può oscurare e contaminare, impedendole di realizzarsi.

Gli stati mentali negativi non sono intrinseci alla mente, ma rappresentano ostacoli transitori che hanno il potere di pregiudicare la felicità e di interferire nella capacità di conseguire i propri obbiettivi, rendendo la nostra mente disturbata e incontrollata. Il compito di ciascun individuo è quello di abbandonare quegli atteggiamenti che conducono a stati di sofferenza e infelicità e di coltivare invece i fattori-antidoto che favoriscono il sorgere di emozioni positive.

Il primo fattore mentale perturbatore è l’attaccamento che genera angoscia di separazione. È l’attitudine a voler possedere un certo oggetto o un essere vivente. Possiamo considerarlo come il desiderio di non volersi separare da un oggetto che consideriamo erroneamente piacevole dal punto di vista delle sue proprie caratteristiche. Aderire ossessivamente al proprio oggetto di desiderio genera sofferenza mentale e fisica. Al contrario la mente ha una funzione latente che tende a renderla rilassata e sicura; per realizzarla è necessario abbandonare la paura della solitudine e le strategie di attaccamento.

La collera, o avversione, è il desiderio di separarsi da ciò che genera frustrazione. Ci allontana dalla felicità e ci induce a commettere azioni dannose per noi e per gli altri. Gli oggetti della collera sono i fenomeni (le persone e le cose) e la sofferenza stessa. La funzione dell’odio è quella di rendere infelici noi stessi e gli altri, distruggendo la nostra e l’altrui pace per periodi anche molto lunghi.

L’orgoglio ci porta a considerare i nostri beni e qualità come superiori, generando un sentimento di onnipotenza narcisistica. E’ alla base della mancanza di rispetto e anziché contribuire a farci ottenere stima e considerazione, provoca sofferenza alla mente. L’orgoglio genera inoltre arroganza. 

L’ignoranza è la mancanza di consapevolezza. Si divide in due tipi: non conoscenza e conoscenza errata. L’ignoranza ha la funzione di generare confusione, favorendo l’insorgere di altre emozioni negative che creano l’accumulo di azioni dannose. Per tale motivo l’ignoranza si può ben considerare la radice di tutte le sofferenze e di tutto ciò che non desideriamo sperimentare.

Il dubbio caratterizza una mente che oscilla tra due polarità riguardo al raggiungimento dei propri obbiettivi e nei confronti dei propri sentimenti. Nella psicologia buddhista il dubbio è in relazione all’esistenza delle quattro Nobili Verità (esiste la sofferenza, la causa della sofferenza, è possibile la cessazione della sofferenza, si può praticare un metodo che porta all’estinzione della sofferenza) e alla scelta delle azioni da intraprendere nella comprensione della legge di causa e effetto. La sua funzione è quella di ostacolare il comportamento armonioso e di confondere la visione della realtà. Il dubbio provoca il rallentamento del progresso mentale e funge da ostacolo all’impegnarsi in attività benefiche per la salute psicofisica.

La funzione delle visioni erronee è quella di fare da base ad erronei punti di vista. Esse rappresentano delle zone d’ombra del pensiero che ci portano, ad esempio, a non considerare la transitorietà dell’esistenza e ad attribuire una durata illimitata all’esperienza, generando desideri che creano frustrazione.

Quando durante la tua meditazione incontri questo tipo di emozioni è importante riconoscerle e col semplice nominarle si crea uno spazio che permette la disidentificazione.

La pratica della meditazione può risultare un efficace addestramento mentale che favorisce la chiarezza, la concentrazione e la tranquillità della mente. Tutto questo è valido ma ha una portata limitata in quanto l’individuo resta centrato sul suo io. Tanto più meditiamo, tanto più diventiamo consapevoli della interdipendenza con tutti gli esseri e dell’unità fondamentale di tutta la vita. Gradualmente diventa naturale un sentimento di Responsabilità Universale. Per questo motivo è importante sviluppare una motivazione alla meditazione che sia rivolta al beneficio di tutti gli esseri senzienti. Così la meditazione ci addestra gradualmente a non fare distinzioni fra amico, nemico, sconosciuto, in quanto partecipano tutti allo stesso desiderio: essere felici.

In questo modo il meditare diventa uno strumento che sviluppa le capacità di aiuto a sé stessi e agli altri, acquistando una valenza di utilità sociale.